mercoledì 1 maggio 2024

Recensione "ORA SO VOLARE" di Michaela e Elaine DePrince - Mondadori


Titolo: Ora so volare
Titolo originale: [Taking Flight: From War Orphan to Star Ballerina]
Autrice: Michaela e Elaine DePrince
Editore: Mondadori
Data di uscita: Gennaio 2015
Genere: Autobiografia | Orfana di Guerra | Razzismo | Danza
Pagine: 276
Volume: autoconclusivo


Ora so volare di Michaela e Elaine DePrince, pubblicato nella versione italiana dalla casa editrice Mondadori, è la storia vera, toccante, dolorosa e al contempo piena di speranza di una bimba della Sierra Leone di appena quattro anni che ha un grande sogno: rimanere viva e diventare una ballerina professionista.

- La mia Recensione -


Mabinty Bangura nasce nel distretto di Kenema, nella regione sud-orientale della Sierra Leone, uno stato dell’Africa Occidentale. È figlia unica e la sua pelle scura presenta delle macchie chiare fin dalla nascita a causa della vitiligine (una malattia sconosciuta da quelle parti e a causa della quale molti si spaventavano e la definivano un demonio).
Nonostante sia una femmina (cosa ritenuta poco fortunata lì) e con le sue macchie, i suoi due genitori la amano moltissimo e sognano per lei un futuro acculturato e autonomo.

Suo papà lavora nelle miniere alluvionali separando diamanti e si spezza la schiena di lavoro, ma non manca mai di trovare del tempo per la sua piccina e inizia a insegnarle l’abjad fin da piccolissima.
Per questo, a soli quattro anni sa già parlare benissimo mende, temne, limba, krio, arabo e sa leggere e scrivere. È una bimba molto sveglia e portata per imparare ogni cosa, motivo per cui la sua curiosità non ha fine e la distingue dagli altri bambini del suo villaggio, e non solo.

Purtroppo in quegli anni imperversa la guerra civile in Sierra Leone, e il papà di Mabinty viene ucciso, compromettendo così l’amorevole clima familiare: la bimba e la mamma verranno prese nella casa dello zio assieme alle sue mogli e figli, ma i maltrattamenti fisici, psicologici e la denutrizione inizieranno fin da subito, data la ristrettezza di vedute dello zio crudele che ritiene la cognata e la nipotina come uno strazio, uno spreco di denaro e cibo…

…infatti molto presto la mamma di Mabinty muore di stenti e la piccina viene mollata dallo zio (disgustato dalle sue macchie e dal fatto che una femmina sapesse leggere e scrivere) in un orfanatrofio, abbandonata al suo destino.
Da quel momento la piccola Mabinty dovrà contare solo sulle proprie forze: la sua spiccata propensione per le lingue e l’apprendimento, nonostante la sua tenerissima età, incuriosisce subito il direttore Andrew Jah che, intuendo il potenziale della piccola, la accoglie nell’orfanatrofio già pienissimo, e la inserisce nel programma di famiglie statunitensi propense ad adottare.

A parte il direttore, la vita in orfanatrofio però si rivela fin da subito molto difficile visto che la bimba viene maltrattata da coloro che si dovrebbero occupare di lei: in primis “zia Fatmata” che la detesta per le sue macchie e perché è così sveglia. Gliene combina davvero di cotte e di crude, ma la piccina trova sempre un modo per stringere i denti e per fargliela pagare, per farsi accettare dagli altri bambini (chiamati per numero… Mabinty è la Numero Ventisette, e per questo viene sempre nutrita poco e per ultima e considerata l’ultima in tutto) e trovare un modo perché gli altri non abbiano paura di lei e delle sue macchie.
La piccina è davvero intelligente e creativa per la sua età, e forse è proprio questa sua singolarità che le fa non solo trovare la sua prima vera amica, Mabinty Suma, una bimba mancina chiamata Numero Ventisei (date le credenze africane, la mano sinistra porta male) che la conforterà e supporterà in tutto, ma anche un modo per sopravvivere.

Le botte e i maltrattamenti sono per le due bambine una tortura quotidiana; per fortuna che c’è la maestra Sarah, una giovane donna che va a insegnare nell’orfanatrofio e che incoraggia Mabinty Bangura a studiare, le vuole bene e le spiega nuove parole. Sarà proprio la maestra Sarah a confortare la bimba quando nessuno vuole adottarla, e allo stesso tempo le infonderà il coraggio di credere sempre nel suo grande sogno: quello di ballare.

Una ballerina professionista: sono proprio io? Mi sembra ieri, quando ero un’orfana, una piccola pikin con la faccia sporca, affamata, spaventata e tenacemente aggrappata alla vita e al sogno di diventare una ballerina. Ai tempi in cui ero Mabinty Mangura, nella stagione delle piogge danzavo a piedi nudi nel fango disturbando le zanzare intente a riprodursi, che si alzavano in volo furiose e mi pungevano… portando la malaria.

La bimba infatti ha sempre adorato ballare anche senza sapere bene come fare, e una sera, grazie ad un fortuito caso, il vento Harmattan le spinge in viso una rivista, sulla cui copertina c’è una ballerina di danza classica, in posa nel suo meraviglioso tutù rosa. Quella visione è per la bimba una cosa celestiale: non sa ancora che si tratti di una ballerina, ma vedere le scarpette da punta in raso e il tutù le riempiono il cuore. Da quell’istante saprà cosa vorrà diventare nella vita: una ballerina professionista.

Guardai la copertina. Una signora bianca indossava una gonna cortissima di un color rosa brillante che lei apriva tutto intorno ai fianchi. Anche le scarpe erano rosa e parevano fatte di quel tessuto di seta che avevo visto un volta al mercato, e la donna stava in equilibrio sulla punta dei piedi. «Non è un modo buffo di camminare?» mi chiese Mabinty Suma.
«Mmh, credo che stia ballando» ribattei. […] «Un giorno danzerò sulla punta dei piedi come questa signora. E sarò anche molto felice!» gridai al vento.

Purtroppo la pochissima nutrizione e le scarse condizioni igieniche fanno sì che i bimbi dell’orfanatrofio si ammalino spesso, ma anche la guerra civile che imperversa non fa altro che aggravare le già precarie situazioni di vita: infatti a causa dei ribelli-devils chiamati debils (coloro che già avevano ucciso il padre di Mabinty) la bimba vedrà morire davanti ai suoi occhi la sua cara maestra sventrata sulla strada, rischierà la propria vita per difenderla, l’orfanatrofio verrà preso in ostaggio e i bimbi scacciati saranno costretti a vivere prima nel bosco, per poi a scappare in Guinea e in seguito in Ghana.

E sarà proprio in Ghana che la vita delle due amiche cambierà del tutto: le famiglie statunitensi pronte ad adottare i bimbi di quell’orfanatrofio li raggiungono lì e le due Mabinty conosceranno per la prima volta Elaine DePrince, quella signora bianca coi capelli biondi e gli occhi azzurri che ha deciso di adottarle entrambe assieme come due vere sorelle.
Da quel momento Mabinty Bangura diventerà Michaela, mentre la sua omonima diventerà Mia.

Quella mamma così buona, coraggiosa, generosa, simpatica e amorevole è proprio la persona giusta per loro, un dono immenso che le due piccine non avrebbero mai potuto immaginare, e sarà proprio la loro fortuna. Imparare a vivere in una nazione diversa, con una lingua diversa, innumerevoli usanze differenti e soprattutto tanto amore non è per niente semplice inizialmente per Michaela e Mia, che in quei quattro anni di vita hanno conosciuto solo il lato brutto dell’umanità.
Eppure entrare a far parte della famiglia DePrince sarà per loro una novità e un regalo così immenso da colmare pian piano i loro cuori. Papà Charles e i fratelli maggiori Adam, Erik e Teddy saranno per le piccine non solo un supporto e una fonte di sicurezza, giochi e affetto, ma anche un continuo punto di riferimento importantissimo.

Diventeranno ben presto inseparabili, una vera grande famiglia allargata, impareranno cosa voglia dire essere davvero amate (anche se la piccola Michaela non scorderà mai i suoi defunti genitori Bangura) e quanto possa veramente cambiare la vita avere qualcuno che ti ama accanto.

Michaela infatti manifesta immediatamente la sua spiccata passione per il ballo, e Mia per la musica. Elaine le iscriverà prontamente alle lezioni di danza tanto sognate e finalmente la piccola Michaela inizierà a versare tutte le energie, tempo, sudore e impegno in un’arte che sarà sempre per lei il suo motivo principale di vita: la danza.

Per Michaela la danza sarà sempre al primo posto, ma dovrà affrontare non poche difficoltà, prima tra tutte il colore della sua pelle: le ballerine classiche professioniste con la pelle scura sono davvero pochissime, e per questo la sua pelle nera e a macchie la ostacolerà non poco non solo durante le lezioni, ma anche alle audizioni e nella vita di tutti i giorni.
Subirà sia il razzismo quotidiano che quello artistico: nonostante il suo innato ed enorme talento, le difficoltà pratiche di ballare in un gruppo di ragazze bianche con body chiari e calze e scarpette rosa sarà spesso un rospo da ingoiare per Michaela.
Certo, per i non esperti di danza, indossare il colore rosa non dovrebbe essere un problema… e non lo è in sé. Il problema sorge quando in danza classica nei secoli passati è stato adottato il rosa per le calze e le scarpette da punta proprio per amalgamarsi col il colore della pelle delle ballerine, per dare l’idea di uniformità nel corpo di ballo e accentuare il prolungamento delle linee delle gambe e dei piedi… cosa che, su una pelle più scura, non succede.

Trovare degli escamotage e degli accorgimenti per tingere calze e scarpette, ma soprattutto battersi per farsi strada nel mondo della danza classica sarà per Michaela fonte di ispirazione sia per se stessa che per le future ballerine nere.

La sua tenacia, il suo impegno costante, la sua determinazione e il talento immenso che la contraddistinguono faranno di lei non solo una delle più giovani ed eccellenti prime ballerine nelle compagnie di danza classica più famose del mondo, ma anche un modello positivo di lotta alla discriminazione.
La partecipazione al documentario First Position incentrato sulla vita di Michaela sarà infatti motivo di orgoglio, di lotta e di soddisfazioni su più fronti.

La vita africana e la vita statunitense di Mabinty-Michaela saranno profondamente segnate da tutte le esperienze vissute, e queste sue duplici radici si fonderanno rendendola la donna forte, sicura, bellissima e appassionata che ha sempre voluto diventare.
Certo tutte le sofferenze e il terrore vissuti nei primi anni di vita in Africa segneranno per sempre Michaela, ma proprio quei ricordi così dolorosi le daranno modo di non scordare mai da dove viene, tutto quello che ha superato e tutte le soddisfazioni raggiunte.

Ho scelto di leggere la storia di Michaela DePrince (narrata da lei in prima persona) qualche anno fa, quando l’ho vista presenziare ad un talent show mentre parlava della sua esperienza di vita… ma ci ho messo un po’ prima di riuscire ad avere occasione e soprattutto la forza adatta per leggere il libro, che non è solo una autobiografia, ma una testimonianza cartacea di tutto quello che lei ha vissuto.
Tra le pagine ho sofferto con lei, ho sperato con lei, sono stata triste con lei e ho pianto lacrime prima di tristezza e poi di gioia… perché questo è quello che è contenuto in di Ora so volare: una forza d’animo e una determinazione non da tutti!

Inoltre, ho apprezzato moltissimo scoprire quanto la danza sia stata fondamentale in ogni suo momento di vita, sia personale, che emotiva, che professionale, e ho adorato il rapporto complice, di fiducia e amore vero che si è creato tra madre e figlia, un legame più forte della distanza, del colore della pelle e delle scelte di vita. 😊🩰💫


 

Michaela DePrince è nata nel 1995 in Sierra Leone ed è rimasta orfana a causa della guerra civile. Ballerina di fama internazionale, è impegnata contro il razzismo nello sport e nella danza.
Elaine DePrince è la madre adottiva di Michaela. Laureata alla Rutgers University, nel 1999 ha adottato sei bambine africane. Vive ad Atlanta con il marito e le cinque figlie più giovani.

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