Titolo: Non ho mai avuto la mia età
Autore: Antonio Dikele Distefano
Editore: Mondadori
Data di uscita: 20 Aprile 2021
Genere: Narrativa contemporanea
Pagine: 216
Volume: autoconclusivo
Da questo romanzo è stata tratta la serie Netflix "Zero" che vede proprio Antonio Dikele Distefano come regista. Trovate un approfondimento QUI.
- La mia Recensione -
Il protagonista nonché voce narrante di questo romanzo è Zero, così soprannominato dai suoi amici.
La storia parte quando Zero è ancora piccolo e a soli sette anni inizia a capire come sia il mondo… o meglio l’Italia dove è nato e sta crescendo, un Paese che però, nonostante lui non sia mai uscito dalla Nazione fin da quando è nato, lo vede come uno straniero, e questo solo perché lui ha la pelle scura, il naso grosso e parla Lingala in casa.
Zero vive con i genitori e la sorella maggiore Stefania (di 5 anni più grande), ma capisce prestissimo quanto gli altri lo percepiscano diverso, e così inizia a tenersi in disparte dagli altri bambini bianchi, che non hanno la più pallida idea di come si senta lui veramente.
Lui è un bambino molto tranquillo, che non ama creare problemi, gli piace girare in bicicletta e scrivere… tutte attività che fa sempre da solo.
E, come se non bastasse, ha solo sette anni quando i genitori si separano, aumentando ulteriormente le già difficili e precarie condizioni economiche della famiglia. Ma la cosa che fa più male al bambino è quanto poco pare che ai genitori importi dei due figli…
Quando, per necessità, un paio d’anni dopo Zero e Stefania sono costretti a trasferirsi per andare ad abitare col padre, il bambino pensa che continuerà a non avere amici… almeno fino a quando a scuola incontra due bambini che se ne stanno sempre in disparte, lontani dagli altri bambini bianchi, ma che pare si divertano un mondo stando insieme solo loro due: Claud e Inno.
Claud è espansivo, sorridente, ha la pelle scura, parla solo francese in casa (essendo originario della Costa D’Avorio).
Inno ha i capelli cortissimi, la pelle molto scura come i suoi occhi, è allegro e molto competitivo, ma soprattutto ha una grandissima passione per il calcio, tanto che gli altri lo chiamano “Okocha” come il famoso giocatore nigeriano, suo compatriota.
Fin da quando parlano per la prima volta con la scusa di giocare a calcio durante l’intervallo, i tre bambini diventano una cosa sola: sempre insieme, sempre uniti e si difendono l’un l’altro dagli insulti dei bulli. E da quel primo incontro, la vita di Zero cambia completamente: capisce il vero valore dell’amicizia pura e sincera.
Ai tre amici, si aggiunge presto anche Sharif (11 anni, loro coetaneo) appena arrivato dal Bengala che impara l’italiano stando tutta l’estate in compagnia dei tre bambini.
Seppure i loro genitori provengano da nazioni diverse e quindi abbiano origini, cibi e tradizioni differenti, i quattro amici sono una cosa sola perché vivono lo stesso identico disagio.
La loro amicizia si consolida sempre di più al punto che, col passare degli anni, fanno sempre tutto assieme, nonostante gli alti e bassi della vita… anche quando ci sono notevoli problemi di soldi.
E Zero, Claud, Inno e Sharif affrontano assieme anche il lato peggiore dell’essere figli di seconda generazione.
Perfino Stefania, che ce la mette davvero tutta per trovarsi un lavoro per contribuire a pagare le bollette della famiglia, deve ingoiare rospi molto amari.
Quando ho scelto di leggere “Non ho mai avuto la mia età” sapevo che non sarebbe stata una lettura facile quanto ad argomenti.
Immaginavo che ci sarebbero state delle scene dure, come anche mi aspettavo di ritrovare la scrittura scorrevolissima e diretta di Antonio Dikele Distefano, dopo aver letto i suoi precedenti libri.
Però non immaginavo che sarebbe stata così diretta… ma d’altronde è il suo primo romanzo che riguarda una storia intera, che descrive uno scorcio di vita purtroppo molto comune per i figli di seconda generazione. Scene che fanno male perché ahimè sono tanto vere quanto crudeli ed ingiuste. E sapevo che avrei empaticamente sofferto leggendole.
Distefano non cerca di indorare la pillola: scrive in modo chiaro e conciso, ma al contempo molto efficace ciò di cui vuole parlare, trattando della sofferenza in ogni suo spettro senza timore.
Ed è questo uno degli aspetti che più prediligo del suo modo di scrivere: ha una proprietà di linguaggio che va dritto al punto in modo intuitivo, ti fa entrare nella storia senza troppi fronzoli e descrive concetti, situazioni ed emozioni che giungono immediatamente ai lettori.
Certo, Non ho mai avuto la mia età è decisamente diverso dalle opere precedenti dell’autore: queste le potrei definire quasi come pensieri intensi sparsi, raggruppati in libri, che non parlano di una singola persona, ma parlano in prima persona senza mai nominare il proprio nome.
Beh, in questo caso è la storia di Zero. Un nome scelto non a caso.
Ora vi starete chiedendo quanto il libro sia connesso alla serie tv, di cui vi accennavo all’inizio del post… in realtà non lo so ancora, nel senso che non l’ho ancora vista perché ho preferito prima leggere il libro da cui è stata tratta, nonostante l’autore e regista sia sempre Antonio Dikele Distefano. Pertanto posso immaginare che ci siano delle similitudini e delle attinenze nella storia… o forse no? Ve ne parlerò quando l’avrò vista.
La storia parte quando Zero è ancora piccolo e a soli sette anni inizia a capire come sia il mondo… o meglio l’Italia dove è nato e sta crescendo, un Paese che però, nonostante lui non sia mai uscito dalla Nazione fin da quando è nato, lo vede come uno straniero, e questo solo perché lui ha la pelle scura, il naso grosso e parla Lingala in casa.
Che ero diverso l’ho imparato stando in mezzo agli altri. Quando mi guardavano con la coda dell’occhio le prime volte che sentivano il mio cognome, quando la maestra o il medico faceva fatica a pronunciare quelle consonanti vicine. Quando leggendo la città in cui ero nato, sorridendomi, mi dicevano “Ma allora sei italianissimo”, “Sei più italiano di me”. Come se attribuire una cittadinanza occidentale fosse un complimento. Come se dire davanti a tutti, con il sorriso stampato in volto, che non ero un africano, perché per loro l’Africa era un Paese, mi rendesse più normale. Dimenticavano, mentre provavano a essere simpatici e amichevoli, che l’identità non me l’aveva data l’Italia, ma i miei genitori e che non spettava a loro dirmi chi fossi.
Zero vive con i genitori e la sorella maggiore Stefania (di 5 anni più grande), ma capisce prestissimo quanto gli altri lo percepiscano diverso, e così inizia a tenersi in disparte dagli altri bambini bianchi, che non hanno la più pallida idea di come si senta lui veramente.
Lui è un bambino molto tranquillo, che non ama creare problemi, gli piace girare in bicicletta e scrivere… tutte attività che fa sempre da solo.
“È di poche parole, ma è simpatico” diceva.
Avevo voglia di parlare con qualcuno che non mi chiedesse perché non aprissi bocca.
Nel tempo, poi, si accorse che il suo metodo non funzionava e smise di incoraggiarmi. “Preferisce stare da solo, lui” diceva, “Mio figlio è un solitario.” Mi ferivano le sue parole, perché era mia madre e non si era accorta che io avevo scelto la solitudine per non sopportare ogni volta la sensazione che si provava quando, in mezzo a un gruppo, ci si rende conto che in fondo non si ha nulla da dire.
E, come se non bastasse, ha solo sette anni quando i genitori si separano, aumentando ulteriormente le già difficili e precarie condizioni economiche della famiglia. Ma la cosa che fa più male al bambino è quanto poco pare che ai genitori importi dei due figli…
A sette anni la vita mi aveva già insegnato che le persone possono decidere di non portarti con loro. Che chi può andarsene, spesso lo fa, e io per non trovarmi nuovamente vulnerabile ho smesso subito di lottare per farle restare. Ho scelto di amare solo mia sorella e di diffidare delle amicizie. […] Alcune persone portano via la felicità quando se ne vanno, portano via la normalità. Sentivo di non essere più in grado di fare niente, come se di colpo avessi disimparato a camminare, a mettere un piede dietro l’altro.
Quando, per necessità, un paio d’anni dopo Zero e Stefania sono costretti a trasferirsi per andare ad abitare col padre, il bambino pensa che continuerà a non avere amici… almeno fino a quando a scuola incontra due bambini che se ne stanno sempre in disparte, lontani dagli altri bambini bianchi, ma che pare si divertano un mondo stando insieme solo loro due: Claud e Inno.
Claud è espansivo, sorridente, ha la pelle scura, parla solo francese in casa (essendo originario della Costa D’Avorio).
Inno ha i capelli cortissimi, la pelle molto scura come i suoi occhi, è allegro e molto competitivo, ma soprattutto ha una grandissima passione per il calcio, tanto che gli altri lo chiamano “Okocha” come il famoso giocatore nigeriano, suo compatriota.
Fin da quando parlano per la prima volta con la scusa di giocare a calcio durante l’intervallo, i tre bambini diventano una cosa sola: sempre insieme, sempre uniti e si difendono l’un l’altro dagli insulti dei bulli. E da quel primo incontro, la vita di Zero cambia completamente: capisce il vero valore dell’amicizia pura e sincera.
Claud e Inno si guardarono sorridendo e il primo disse «io te l’avevo detto che sapeva giocare a calcio». E quando mi superò correndo aggiunse «che fai lì fermo? Muoviti che se no poi suona la campanella!» Quella mattina fu l’inizio di una lunga amicizia. Dell’unica cosa che nella vita sono stato in grado di conservare.
Ai tre amici, si aggiunge presto anche Sharif (11 anni, loro coetaneo) appena arrivato dal Bengala che impara l’italiano stando tutta l’estate in compagnia dei tre bambini.
Seppure i loro genitori provengano da nazioni diverse e quindi abbiano origini, cibi e tradizioni differenti, i quattro amici sono una cosa sola perché vivono lo stesso identico disagio.
Volevamo tante cose dalla vita e le stavamo chiedendo al cielo, alla luna, a Dio.
Volevamo tutto quello che ci era stato negato, e in tutto questo avevamo solo tredici anni.
La loro amicizia si consolida sempre di più al punto che, col passare degli anni, fanno sempre tutto assieme, nonostante gli alti e bassi della vita… anche quando ci sono notevoli problemi di soldi.
E Zero, Claud, Inno e Sharif affrontano assieme anche il lato peggiore dell’essere figli di seconda generazione.
Nel posto dove vivevamo potevamo essere e diventare poche cose: essere neri, diventare dei calciatori, degli operai, degli spacciatori oppure morire. E noi, neri, lo eravamo già.Nel romanzo vengono descritti senza peli sulla lingua molti episodi di vita che purtroppo accomunano moltissimi ragazzi neri di seconda generazione. E nonostante qualche piccola eccezione, come il personaggio di Anna, la buona volontà dei ragazzi li fa scontrare sempre contro un muro pesante: il razzismo.
Perfino Stefania, che ce la mette davvero tutta per trovarsi un lavoro per contribuire a pagare le bollette della famiglia, deve ingoiare rospi molto amari.
“Oggi ho chiesto a una signora di fare lo scontrino prima di mettersi in fila per il gelato. Lei mi ha risposto davanti a tutti che non prendeva ordini da una negra e nessuno ha detto niente, nemmeno io.”
Il giorno dopo non andò al lavoro.
La trovai in camera sul letto, stretta al cuscino.
Quando ho scelto di leggere “Non ho mai avuto la mia età” sapevo che non sarebbe stata una lettura facile quanto ad argomenti.
Immaginavo che ci sarebbero state delle scene dure, come anche mi aspettavo di ritrovare la scrittura scorrevolissima e diretta di Antonio Dikele Distefano, dopo aver letto i suoi precedenti libri.
Però non immaginavo che sarebbe stata così diretta… ma d’altronde è il suo primo romanzo che riguarda una storia intera, che descrive uno scorcio di vita purtroppo molto comune per i figli di seconda generazione. Scene che fanno male perché ahimè sono tanto vere quanto crudeli ed ingiuste. E sapevo che avrei empaticamente sofferto leggendole.
Distefano non cerca di indorare la pillola: scrive in modo chiaro e conciso, ma al contempo molto efficace ciò di cui vuole parlare, trattando della sofferenza in ogni suo spettro senza timore.
Ed è questo uno degli aspetti che più prediligo del suo modo di scrivere: ha una proprietà di linguaggio che va dritto al punto in modo intuitivo, ti fa entrare nella storia senza troppi fronzoli e descrive concetti, situazioni ed emozioni che giungono immediatamente ai lettori.
Certo, Non ho mai avuto la mia età è decisamente diverso dalle opere precedenti dell’autore: queste le potrei definire quasi come pensieri intensi sparsi, raggruppati in libri, che non parlano di una singola persona, ma parlano in prima persona senza mai nominare il proprio nome.
Beh, in questo caso è la storia di Zero. Un nome scelto non a caso.
Ora vi starete chiedendo quanto il libro sia connesso alla serie tv, di cui vi accennavo all’inizio del post… in realtà non lo so ancora, nel senso che non l’ho ancora vista perché ho preferito prima leggere il libro da cui è stata tratta, nonostante l’autore e regista sia sempre Antonio Dikele Distefano. Pertanto posso immaginare che ci siano delle similitudini e delle attinenze nella storia… o forse no? Ve ne parlerò quando l’avrò vista.
Però per quanto riguarda questo libro, sono contenta di averlo letto, perché nonostante sia una storia tutt’altro che allegra (e preparatevi ad un finale assolutamente inaspettato!!) è giusto che venga letta per dare a tutti i lettori più consapevolezza della realtà.
Perché è vero che è una storia inventata, ma trae ispirazione da tantissimi fatti che accadono davvero, e – se posso permettermi – forse qualcosa prende spunto anche dalla realtà vissuta dall’autore? Chissà…
Buona lettura!!
Antonio Dikele Distefano (nato il 25 Maggio 1992) è originario dell’Angola, nato a Busto Arsizio e cresciuto a Ravenna, è un autore che ha iniziato a scrivere molto giovane.
Il suo primo libro Antonio l’ha scritto nel 2014 come uno sfogo, contro ogni previsione, contro tutti quelli che gli dicevano che non sarebbe mai potuto diventare uno scrittore, ma lui l’ha scritto ugualmente, l’ha auto-pubblicato e solo in seguito è satato rieditato, riveduto e corretto da Mondadori nel 2015. Inoltre, Antonio si è appassionato alla musica hip-hop componendo alcuni brani sotto lo pseudonimo di "Nashy". Nel 2013 ha fatto parte del duo Primavera Araba.
Dal 2015, dopo il primo libro “Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?”, ne ha pubblicati altri 4, uno all’anno, sempre con la casa editrice Mondadori: “Prima o poi ci passerà (POPCA)” (2016), “Chi sta male non lo dice” (20017), “Non ho mai avuto la mia età” (2018), “Bozze” (2018).
Da poco è stato pubblicato il suo sesto libro “Autum beat” pubblicato con la casa editrice Rizzoli.
Inoltre Antonio collabora con la testata giornalistica Esse Magazine, collabora con programmi radiofonici e mediatici, ed è inoltre autore e regista di due serie televisive targate Netflix tratte da due suoi romanzi: Zero e Autum Beat.
Il suo primo libro Antonio l’ha scritto nel 2014 come uno sfogo, contro ogni previsione, contro tutti quelli che gli dicevano che non sarebbe mai potuto diventare uno scrittore, ma lui l’ha scritto ugualmente, l’ha auto-pubblicato e solo in seguito è satato rieditato, riveduto e corretto da Mondadori nel 2015. Inoltre, Antonio si è appassionato alla musica hip-hop componendo alcuni brani sotto lo pseudonimo di "Nashy". Nel 2013 ha fatto parte del duo Primavera Araba.
Dal 2015, dopo il primo libro “Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?”, ne ha pubblicati altri 4, uno all’anno, sempre con la casa editrice Mondadori: “Prima o poi ci passerà (POPCA)” (2016), “Chi sta male non lo dice” (20017), “Non ho mai avuto la mia età” (2018), “Bozze” (2018).
Da poco è stato pubblicato il suo sesto libro “Autum beat” pubblicato con la casa editrice Rizzoli.
Inoltre Antonio collabora con la testata giornalistica Esse Magazine, collabora con programmi radiofonici e mediatici, ed è inoltre autore e regista di due serie televisive targate Netflix tratte da due suoi romanzi: Zero e Autum Beat.
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